lunedì 25 agosto 2008

Vittorio

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Un nipote quasi sconosciuto


Ricordo che mia sorella dipingeva bene: aveva studiato con un pittore piuttosto bravo e conosciuto ed aveva imparato sia a disegnare a carboncino, che con la sanguigna. Poi aveva iniziato a fare anche copie di dipinti ad olio, per imparare la tecnica.
Ma, devo dire, che scriveva anche molto bene, per cui fu una sorpresa quando, mi pare, in secondo liceo, la rimandarono in Italiano.

La colpa fu ..per quanto ho potuto ricostruire.... di un tema in classe che era stato giudicato sfavorevolmente dalle famigerate Suore dell'Istituto Ravasco, dove sia lei che io studiavamo.
Quando tutti gli elaborati, scritti su fogli protocollo e corretti, furono riportati a casa, alla fine dell'anno scolastico, come si usava allora, io, incuriosita, andai a cercare il tema di cui tanto avevo sentito parlare: quell'ultimo tema di fine anno, che aveva provocato tanto scompiglio, e lo lessi di nascosto.
Devo dire che rimasi abbastanza sorpresa, perchè, in fondo, non era altro che un tema di fantasia e a me sembrò che mia sorella lo aveva svolto benissimo, in modo convincente e interessante.
Ma erano altri tempi e le monache si scandalizzavano facilmente.
Il titolo era:
....UNA BARCA ROVESCIATA SULLA SPIAGGIA...

Chiaramente si poteva, anzi, ... si doveva ... inventare una storia e mia sorella lo aveva fatto, con sentimento e partecipazione, ma si era permessa di scrivere come se fosse lei la protagonista della storia .....la madre.
Aveva raccontato, una vicenda drammatica e tristissima ma il suo racconto alle suore era sembrato troppo particolare: erano altri tempi e per le suore quella storia cosi ben esposta nel tema in questione , non poteva essere opera di una ragazzina di diciassette o diciotto anni.

Forse pensarono che lei l'avesse veramente vissuta..o magari copiata da un libro.
Nel tema, mia sorella, parlando in prima persona, aveva raccontato di essere la madre di un ragazzo di venti anni, che di mestiere, faceva il pescatore e che era uscito la notte per andare a pesca con la sua barca.
Al mattino, poi, lei, la madre del ragazzo, non trovandolo nel suo letto, era corsa sulla spiaggia per cercarlo, e, sulla spiaggia deserta e sconvolta da un fortunale , aveva trovato, purtroppo, soltanto la sua barca rovesciatae semidistrutta sulla riva, ad indicare...che durante la notte, era successa una tragedia.
Per le suore RAVASCO , la storia descritta, non poteva essere stata inventata sul momento da una ragazza senza esperienze, poichè il fatto tragico raccontato nel tema, era trattato con notevole sensibilità e partecipazione: con accenti che sembravano veramente vissuti in prima persona.
Quindi, per delle monache alquanto all'antica, anche se dedite all'insegnamento,come erano loro all'epoca, non c'erano che due possibilità: o si trattava di una copia di qualche capitolo... rubacchiato da qualche romanzo d'appendice ..o peggio, c'era qualche cosa di strano nella vita e nella mente di quella fanciulla che avrebbe dovuto , data l'età, essere ancora completamente inesperta e,..... nel dubbio............. decisero di rimandarla in italiano a settembre.


IO NON CREDO NELLE PREMONIZIONI NE' NEI PRESENTIMENTI ...MA..........



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VITTORIO ERA NATO A FERRARA, ma poco tempo dopo, suo padre ebbe l'opportunita' di andare a lavorare per quattro anni, negli Stati Uniti, prima in Virginia e poi a New York: il bimbo doveva avere al tempo non più di un anno e mezzo e fu così che Vittorio incomincio' a parlare, contemporaneamente, Italiano e Inglese.
L'italiano, certamente, lo imparava sentendo parlare, soprattutto in casa, i suoi genitori, ma le "nannies " che si prendevano cura di lui e gli asili nido dove passava certamente parte del suo tempo, erano americani ed evidentemente, sia le insegnanti che gli altri bimbi, si rivolgevano a lui in americano.
In quattro anni un bambino apprende moltissimo e la lingua che Vittorio si trovava ad sentire più spesso, doveva essere l'americano parlato da persone comuni: una sorta di slang, che non credo abbia molto in comune con l'inglese colto, quello che viene chiamato "QUEEN'S ENGLISH" e che in Inghilterra è considerato la lingua delle classi colte.


Quando la famigliola tornò
definitivamente dagli States,
noi andammo a riceverli
all'aereoporto di Roma.
Ricordo benissimo che
mentre tutti si salutavano
e parlavano contemporaneamente,
il piccolo Vittorio ci
guardava incuriosito, non
capendo granche' di quanto
si diceva in napoletano e
poi, ad un tratto, vedendo
me, che gli sorridevo
silenziosa, mi disse
qualche cosa che io,
ovviamente,non riuscii a capire, dato che il mio Inglese, all' epoca, era
completamente inadatto e insufficiente, e risaliva a quel pochino che avevo studiato negli anni della scuola.
Vittorio, che forse aveva pensato che io fossi americana e che parlassi la sua stessa lingua, ci rimase male e ripensandoci, si rivolse a sua madre.
Io mi sentii mortificata e mi riproposi di cercare di imparare un pochino di Inglese per poterlo, magari, capire in seguito.

Questo fu tutto quello che ricordo di quel incontro.Poi Vittorio e i suoi genitori andarono a vivere a Milano, dove sono stata a far loro visita,
una sola volta, in occasione della nascita del fratellino, Valerio.


Poi negli anni successivi, lo vidi qualche giorno a Roccaraso, e mi sembra, una o due volte a Napoli, per non più di qualche ora.
Ad un certo punto, seppi che finalmente mia sorella e suo marito avevano comprato una bella casa a Milano e che si apprestavano a trasferirsi nel nuovo appartamento per poi restare lì...forse per sempre.


Ma accadde qualcosa che li spinse ad andare via,
e, potendo scegliere, decisero di andare a
vivere in Inghilterra, a Londra.
La casa di Milano fu affittata a degli inquilini,
e la famigliola ormai di quattro persone si
trasferi' a Kensington.
Valerio appena appena, cominciava ad andare a
scuola, ma Vittorio doveva inserirsi nel sistema
scolastico inglese che è piuttosto differente dal
nostro.
Purtoppo l' accento di VITTORIO , che
risentiva degli anni trascorsi negli Stati
Uniti, un pochino lo danneggiava negli studi.
Gli Inglesi infatti, sono decisamente classisti
( per non dire razzisti ) e danno estrema
importanza al modo di parlare, agli accenti,
alle cadenze, alle espressioni idiomatiche
e fin troppo spesso, si vantano di essere
in grado di distinguere differenze di
accento e di parlata anche minime.


Secondo loro, variazioni quasi impercettibili,
denunciano facilmente, ad un orecchio esercitato,
la provenienze e i luoghi dove una persona
ha vissuto precedentemente, così che quando
un " NATIVE SPEAKER " parla, lascia capire
con facilità a chi lo ascolta, addirittura,
il quartiere dove ha vissuto, le strade dove
ha abitato, le scuole presso le quali ha
studiato, gli amici che ha frequentato,
in generale, la classe sociale a cui,
egli appartiene.

E'una forma di snobbismo che tende
a dividere in caste la popolazione inglese
dalle quali sono automaticamente esclusi
gli stranieri,per quanto bene possano
parlare inglese..
"Not native speakers" sono un mondo a parte!
Per noi Italiani, c'è, però, anche un altro
problema da tenere presente: sembra che,
al loro orecchio, se noi abbiamo imparato
la lingua dagli Americani,inevitabilmente
ereditiamo un accento che gli inglesi
associano con mafia e cosa nostra.


Quindi è chiaro che un ragazzo, che voglia frequentare le migliori universita' inglesi ma che abbia un lieve accento americano, non venga molto apprezzato ed è anche per questo motivo, che in Inghilterra tutti si affannino
sin dalla più tenera età a mettere i figli,sin dalla più tenera età, nelle scuole considerate migliori dove la parlata delle classi alte e il QUEEN'S ENGLISH è la regola.


Successe infatti, che Vittorio, al completamento dei suoi studi di liceo, invio' la sua domanda per l'iscrizione e fece colloqui per entrare nelle più quotate Università Inglesi, come per esempio, la "LONDON SCHOOL OF ECONOMIC".
Purtroppo la sua richiesta non fu accettata, probabilmente per il suo accento, che risentiva dei suoi primi anni trascorsi negli Stati Uniti: quei primi quattro anni, nei quali, come tutti i bimbi, aveva cominciato a parlare.

La domanda d'iscrizione fu invece accettata alla Bocconi di Milano.
Questo fatto spinse i suoi genitori a decidere di iscriverlo ed inviarlo a Milano a frequentare i corsi di ECONOMIA.
Fu deciso, di permettergli di abitare nella casa di proprieta' della famiglia , e che , purtroppo, non era mai stata abitatapoi che subito dopo l'acquisto si era trasferita a Londra.
Si trattava di un appartamento molto grande, al sesto piano, con finestre dal davanzale piuttosto basso e persiane a cannochiale: un appartamento, che fino a quel momento, era stato affittato e che proprio in quel periodo si era liberato, perchè gli inquilini erano andati via.
Fu deciso che avrebbe abitato insieme ad alcuni altri ragazzi di origine pescarese, figli di amici dei suoi genitori e che erano anche loro iscritti all'universita' Bocconi .

Vittorio frequento' i corsi per tutto l'inverno, studio' e fece gli esami del primo anno, ma, proprio quando, col biglietto gia' acquistato, si preparava al ritorno a casa, per la fine dell'anno universitario, successe l' incidente.
Sabato sera aveva appuntamento con
la sua ragazza, si fece la doccia, si vestì
e si sedette sul davanzale per legarsi
una scarpa.....
Forse le sedie erano tutte in cucina perchè gli altri ragazzi stavano cenando tutti insieme....
Forse non si rese conto che la
persiana chiusa non era agganciata e si appoggio' con la schiena ....
Forse la persiana cedette in fuori
all'improvviso, facendolo cadere:
certo è che gli occhiali atterrarono su di lui, senza rompersi
..... e...... una scarpa era ancora slacciata.


l'ultima foto-